L’Antica Compagnia dei Venditori di Pesce

di Giancarlo Roversi

Fino alla fine del ‘700 i pescivendoli costituivano una corporazione autonoma di mestiere, quella dei Pescatori che però il pesce non lo pescavano, ma lo vendevano dopo averlo importato. Una parte del prodotto ittico proveniva dalle zone paludose della bassa, sia quella bolognese – dove le valli acquitrinose si estendevano fino a non molta distanza dalla città – sia quella ferrarese, soprattutto dalla zona di Comacchio. Il porto di prima confluenza verso cui si indirizzava la parte più consistente del pescato era quello di Molinella dal quale, per via di terra, tramite appositi trasportatori o lungo la rete di corsi d’acqua e canali che solcavano la Bassa, andava a rifornire Bologna. 

Quello più ricercato proveniva da Chioggia e dalla zona lagunare attorno a Venezia. Dopo essere stato caricato su barconi lasciava la laguna e, lambendo la costa del mare Adriatico, entrava nel delta del Po e seguendo il Po di Volano raggiungeva Ferrara. Successivamente entrava nel canale Navile e raggiungeva Bologna trainato da un mulo che percorreva la sponda che consentiva di superare la cinquantina di metri di dislivello fra Ferrara e Bologna grazie ai “sostegni”, ossia le chiuse vinciane tuttora esistenti, fino a raggiungere il porto Naviglio all’interno delle mura di Porta Lame, dove si conservano ancora alcuni resti, come il palazzo della Dogana.

In misura molto minore il pesce era fornito dai fiumi e torrenti del Bolognese, in antico molto pescosi, e, in quantità più esigue, dal mare Adriatico. Dai torrenti appenninici intorno a Porretta arrivavano in città squisiti gamberetti d’acqua dolce.

La Compagnia dei Pescatori bolognesi aveva una sua sede nella piazza di porta Ravegnana, all’ombra dell’Asinelli e della Garisenda. Costruita nel XII secolo, la domus piscatorum era il luogo di riunione dei venditori di pesce che si erano dati un’organizzazione corporativa, poi perfezionata nel secolo successivo. Proprio sotto le Due Torri, punto terminale dell’antica via Salara, oggi via San Vitale che congiungeva Bologna a Ravenna, arrivava per via di terra una parte del pesce delle valli comacchiesi e della costa romagnola nonché il sale di Cervia, destinato alla salagione non solo del pesce da conservare ma anche delle carni dei maiali macellati dai Salaroli. E sempre qui in Piazza di Porta Ravegnana ebbe sede anche il primo mercato ittico cittadino.

La Corporazione dei Pescatori ebbe in passato, soprattutto durante l’età medievale, una cospicua rilevanza economica e sociale grazie al notevole consumo di pesce, sia fresco sia salato o marinato, favorito oltre che da abitudini alimentari fortemente radicate anche da esigenze di ordine religioso (in particolare la prescrizione dell’astinenza dalle carni nei giorni di vigilia e durante la quaresima). 

La Società dei Pescatori non riuniva solo i pescivendoli e i mercanti di pesce all’ingrosso, ma anche i rivenditori di pesce fresco, cotto, salato, affumicato e fritto nonché quanti praticavano in proprio una piccola attività di pesca nei fiumi e nelle valli e poi lo portavano al mercato. 

Sorta per difendere il privilegio di esclusiva sul commercio al minuto del pesce fresco, salato, marinato, ma anche cotto e fritto, la Societas artis de Piscarie adottò nel 1253 propri statuti poi approvati tre anni più tardi dal Capitano del Popolo, come attesta la copia originale conservata all’Archivio di Stato di Bologna assieme alle altre redazioni statutarie del 1272, del 1282 e dei secoli XIV e XV e alla Matricola del 1294 dalla quale risultano attivi a Bologna in quell’anno 267 pescatori. 

Da questi documenti si apprende pure che il mercato ittico, dal nucleo originario a porta Ravegnana, si era dilatato verso Piazza Maggiore e lungo la «ruga» delle Pescherie, dove erano dislocati i pescivendoli novi in contrapposizione ai veteres che ancora stazionavano sotto le Due Torri e che per lungo tempo non vollero avere nulla a che fare con gli «intrusi», finendo poi per assorbirli. Gravi conflitti di concorrenza coi mercanti di pesce esterni alla corporazione si ripresentarono agli inizi del Quattrocento quando i piscatores dovettero fare i conti con le nuove «buse» (botteghe seminterrate) per la vendita di prodotti ittici installate dall’Ospedale di Santa Maria della Vita nei propri immobili di via Pescherie. 

Alla rivendicazione della Compagnia del monopolio dello smercio del pescato le autorità nel 1446 reagirono con la sua soppressione e la liberalizzazione del commercio del pesce. Dopo vari tentativi andati a vuoto la corporazione venne ricostituita soltanto nel 1488 con l’approvazione di nuovi statuti e con la nuova concessione della privativa sulla vendita dei prodotti ittici. 

Oltre che in via Pescherie Nuove (l’attuale Pescherie Vecchie) i pescivendoli esercitarono la loro attività anche nella via Pellizzarie, congiungente via Orefici al Mercato di Mezzo (oggi via Rizzoli) e cancellata dagli sventramenti urbanistici dell’inizio del ‘900.

Interessante è sottolineare la forte presenza del pesce nel vitto dei bolognesi: mediamente oltre 400 mila libbre all’anno (1.500 quintali) di prodotto fresco, e 60 mila (217 quintali) di prodotto salato. Questo aspetto non deve sorprendere perché il pescato, sia di mare che di acqua dolce, ha rappresentato anche nei secoli precedenti una voce non indifferente nel bilancio dietetico della popolazione, non solo per motivi di indole religiosa, ma anche proprio grazie alla presenza dell’efficiente corporazione dei pescatori e soprattutto di una filiera distributiva ben diramata.

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